I risultati della ricerca dell’Istituto Europeo di Oncologia e dell’Università di Milano svelano come la forma più aggressiva di cancro ovarico ha origine da due tipi di cellule provenienti da tessuti diversi: quindi si tratterebbe di due malattie distinte, ciascuna con la propria diagnosi e cura.
Nel mondo oltre 200mila donne ogni anno scoprono di essere affette dal cancro ovarico, nel 70% dei casi si tratta di carcinomi di alto grado con una bassa curabilità.
La principale motivazione è il ritardo nella diagnosi, infatti le pazienti scoprono la malattia in uno stadio avanzato, nel quale è difficile non solo identificare una terapia efficace, ma anche la patogenesi molecolare del tumore.
La ricerca è riuscita, grazie a un approccio epigenetico innovativo, a identificare il tessuto all’origine.
“Per capire da quale tessuto nasceva il tumore – spiega Pietro Lo Riso, primo autore dello studio – abbiamo cercato un marcatore epigenetico in grado di distinguere le due possibili origini: le tube di Falloppio e l’epitelio ovarico.
Abbiamo utilizzato un approccio basato sulla metilazione del DNA, uno dei meccanismi che modulano l’espressione dei geni, in pratica una delle istruzioni che la cellula usa per attivare nel suo DNA le parti che le permettono di acquisire la sua identità. La nostra ipotesi di partenza era che nella trasformazione neoplastica potesse rimanere una “memoria” della cellula di origine, cioè che nel tumore ci fossero tracce di metilazione del DNA proprie del tessuto in cui era nato. Quindi abbiamo prima identificato l’impronta epigenetica specifica dei due tessuti, cioè un insieme di regioni del DNA differentemente metilate nell’epitelio ovarico e in quello delle tube, e abbiamo utilizzato questa impronta come marcatore per distinguere i due tumori”.
L’impronta epigenetica della cellula iniziale discrimina i due sottotipi di cancro ovarico, e dall’identificazione del tessuto è chiaro che la forma che ha origine nell’epitelio è più aggressiva dell’altra.
Conoscere le modificazioni cellulari che hanno trasformato il tessuto da sano a neoplastico, avrà riscontri importanti sulla prognosi e la terapie.
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