Carcinoma prostatico resistente alla castrazione non metastatico: come trattarlo?
Il carcinoma prostatico resistente alla castrazione è una condizione caratterizzata da aumenti del PSA, nonostante il paziente sia stato trattato con terapia di deprivazione androgenica e controllo costante dei valori del testosterone nel sangue (inferiori a 50 ng/dl).
Il tumore alla prostata è estremamente variabile sia dal punto di vista della diagnosi iniziale sia dal punto di vista del decorso clinico.
Infatti, alcuni pazienti con malattia localizzata ottengono una remissione completa grazie all’intervento chirurgico o alle terapie; per altri la malattia segue fasi alterne e per altri ancora, dopo anni liberi dal tumore, questa si ripresenta.
Inizialmente i pazienti erano sottoposti all’intervento di castrazione chirurgica, alla quale con il tempo si è sostituita la castrazione medica, mediante l’utilizzo della terapia di deprivazione androgenica.
In che cosa consiste?
Nell’assunzione di farmaci che inibiscono la produzione di testosterone, i quali contengono molecole che bloccano i segnali che inducono la produzione dell’ormone maschile per antonomasia. La terapia ATP in particolare prevede la somministrazione di iniezioni mensili, trimestrali o semestrali di farmaci analoghi dell’ormone stimolante il rilascio dell’ormone luteinizzante (LH-RH).
La conseguenza dell’assunzione di tali farmaci è il blocco totale della produzione di androgeni, causa della progressione del tumore prostatico, il cosiddetto blocco androgenico totale (BAT).
Esistono casi, però, in cui si verificano aumenti del PSA, cioè l’antigene prostatico specifico, anche in pazienti sottoposti alla terapia di deprivazione androgenica, pur senza la comparsa di metastasi nel breve periodo.
Essi sono affetti da carcinoma prostatico non-metastatico resistente alla castrazione (nm CPRC).
Quindi, nel caso di tumore alla prostata resistente alla castrazione ci troviamo di fronte a un tumore localizzato, non esteso agli altri organi, ma diventato resistente alla terapia ormonale.
Carcinoma prostatico resistente alla castrazione: quali esami?
Se fino a qualche anno fa per indagare l’eventualità di metastasi a distanza sembravano bastare sia la TC con mezzo di contrasto che la scintigrafia; oggi, le indagini sono effettuate con strumenti più sofisticati, come la PET-colina o la PET-PSMA.
Il vantaggio di tali strumenti diagnostici è che riescono a individuare la comparsa di metastasi meglio di quelli convenzionali. E purtroppo, grazie alla maggiore precisione della PET, la maggior parte dei soggetti con tumore prostatico non metastatico lo diventa.
Carcinoma prostatico resistente alla castrazione terapia
Secondo la comunità scientifica i pazienti con tumore alla prostata falsi metastatici devono essere sottoposti alle terapie consuete, senza lasciarsi influenzare dai risultati degli strumenti di precisone attuali, come la Pet o la scintigrafia ossea.
Inoltre, per quanto la Pet possa essere utile in alcuni casi, non esistono studi che mostrano con certezza un miglioramento della qualità della vita e della sopravvivenza dei pazienti con carcinoma prostatico resistente alla castrazione sottoposti alle tecniche di imaging di nuova generazione.
Invece, esistono conferme scientifiche sulla valenza degli antiandrogeni di nuova generazione e sul fatto che siccome, alcuni farmaci si mostrano utili nella fase non metastatica, dichiarare subito il paziente metastatico, fa sì che non abbia accesso a tutta una serie di opzioni di cura.
Androgeni di nuova generazione
Nel caso di tumore alla prostata non metastatico resistente alla castrazione la terapia ormonale rappresenta uno standard per inibire la progressione del tumore e scongiurare metastasi.
Ottimi i risultati ottenuti dagli androgeni di nuova generazione in associazione alla puntura di analogo LH-RH.
Infatti, i pazienti hanno sviluppato metastasi a distanza di 37-40 mesi dall’avvio del trattamento (prima 15-18 mesi) e prolungato la loro aspettativa di vita di circa un anno.
Inoltre, gli androgeni di nuova generazione sembrano ben tollerati, non causando la maggior parte degli effetti collaterali della chemioterapia, per esempio.
In Italia sono tre gli antiandrogeni di nuova generazione rimborsati dal Sistema Nazionale, a uso degli operatori sanitari in base alla generale condizione di salute del paziente e al livello di progressione del tumore.
La combinazione è tra farmaci orali in pastiglie, assunti quotidianamente dal paziente, con punture mensili, trimestrali o semestrali di analogo LH-RH.
Infine, nei pazienti privi di metastasi (ma preoccupanti) o con metastasi all’inizio, si può ricorrere alla compresenza di farmaci e radioterapia, per eliminare le cellule tumorali dalla ghiandola prostatica.
La terapia risulta davvero efficace contro le recidive.
È bene, però, precisare che l’efficacia di tali trattamenti risente dello stadio del tumore e della presenza di patologie concomitanti.
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