Molti pazienti oncologici si chiedono come comportarsi di fronte all’emergenza Covid-19, anche perché è dimostrato come i malati di tumore siano da sempre una categoria più soggetta alle infezioni virali e batteriche e alle loro eventuali complicanze.
Quali sono i consigli per i pazienti oncologici? Che tipo di rischio corrono e quali precauzioni devono usare? Ce lo spiega la Dott.ssa Valentina Rossi, Dirigente Medico in servizio presso l’Unità Operativa Semplice Dipartimentale dei Tumori della Mammella dell’Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma.
Le evidenze scientifiche sono ancora molto limitate, ma dimostrano un decorso sfavorevole in termini di accesso alle diagnosi e alle cure.
I pazienti con diagnosi di neoplasia solida sono considerati a più alto rischio di complicanze da infezione Covid-19 in relazione allo stato di immunosoppressione indotto dalla malattia neoplastica e dai trattamenti oncologici.
Tuttavia, le evidenze scientifiche in questo ambito sono ancora molto limitate e in parte contrastanti.
Uno studio italiano, i cui risultati sono stati pubblicati su Nature Cancer nel 2020, ha dimostrato come nei pazienti oncologici l’infezione da SARS-CoV-2 abbia la stessa prevalenza della popolazione generale.
L’infezione virale è caratterizzata da un decorso più sfavorevole in termini di accessi alle cure in terapia intensiva e di decessi.
Nello specifico, in questo studio, dei 723 pazienti positivi a SARS-CoV-2 con il cancro, 106 sono morti per sindrome COVID-19 durante il periodo di studio (15%), in confronto ai 385 degli 8.552 (4,5%) dei pazienti SARS-CoV-2 positivi non affetti da tumore (p < 0,0001).
Inoltre, l’infezione virale SARS-CoV-2 può comportare un ritardo di accesso alla diagnosi e alle cure oncologiche il cui impatto sulla sopravvivenza non può ancora essere stimato con precisione.
I pazienti oncologici sono considerati altamente vulnerabili e quindi a maggior rischio di contrarre l’infezione SARS-CoV-2, anche a causa dei numerosi accessi ospedalieri a cui devono ricorrere per ricevere le cure oncologiche.
Data la prevalente natura nosocomiale dell’infezione SARS-CoV-2, soprattutto se si considera la prima ondata, i pazienti affetti da neoplasia in stadio avanzato e che necessitano di maggior supporto farmacologico per il contenimento dei sintomi sono a maggior rischio di contrarre l’infezione e le complicanze a essa correlate.
Recenti dati riportati in letteratura, seppur di natura retrospettiva e limitati ad una coorte di 105 pazienti, suggeriscono che il tumore del polmone è la neoplasia più frequentemente associata all’infezione SARS-CoV-2 (20.95%), seguito dalle neoplasie del tratto gastrointestinale (12.38%), e dal tumore della mammella (10.48%).
Un altro studio condotto su 28 malati oncologici riporta una più alta percentuale di infezione SARS-CoV-2 tra i pazienti con tumore in stadio IV (35.7%).
Inoltre, dati raccolti su 205 pazienti oncologici che hanno contratto l’infezione SARS-CoV-2 e che hanno manifestato i sintomi entro 4 settimane dalla somministrazione della chemioterapia sono risultati a maggior rischio di complicanze e morte, soprattutto se di sesso maschile.
I pazienti esposti a immunoterapia sono risultati a più alto rischio di complicanze severe (66.67%) e morte (33.3%) in corso di infezione SARS-CoV-2.
Infine, nei pazienti oncologici l’età avanzata è risultata associata ad una peggior prognosi in corso di infezione SARS-CoV-2.
Tuttavia, va sottolineato che la maggior parte dei dati sovraesposti sono limitati a piccoli gruppi di pazienti ospedalizzati.
Molto meno noti sono i dati relativi alla frequenza e alla severità dei sintomi dell’infezione nella popolazione generale dei pazienti oncologici.
In questo contesto, i risultati di un ampio studio condotto su più di 20.000 pazienti oncologici hanno dimostrato un aumentato rischio di infezione SARS-CoV-2 (60%) rispetto alla popolazione generale.
L’associazione tra cancro e COVID-19 test positivo è risultata significativa tra i pazienti di età superiore a 65 anni, specie se di sesso maschile. I trattamenti oncologici, basati su chemioterapia e immunoterapia, sono risultati associati ad un incrementato rischio di COVID-19 test positivo (OR: 2.22; 95% CI: 1.68–2.94).
A parte un momento iniziale, nel quale si è verificata una reale situazione di emergenza e di pericolosità delle strutture ospedaliere, oggi gli ospedali rappresentano un luogo sicuro dove effettuare programmi di screening e cure adeguate.
Certamente no.
La comunità scientifica internazionale ha mostrato grande preoccupazione sull’impatto sfavorevole che l’infezione SARS-CoV-2 ha avuto e potrà continuare ad avere sulla prognosi dei malati oncologici.
L’infezione SARS-CoV-2 ha determinato una riduzione degli accessi ai programmi di screening e alle cure oncologiche, sia ospedaliere che territoriali, specie nel corso della prima ondata.
Solo un periodo di osservazione più lungo potrà consentirci di comprenderne le reali implicazioni sulla sopravvivenza dei nostri pazienti.
Tuttavia, risultano indispensabili interventi strutturali atti a inserire, tra le altre cose, le nuove tecnologie, come la telemedicina, al fine di ottenere una migliore integrazione della rete ospedale-territorio e di garantire la miglior assistenza possibile ai pazienti oncologici.
Il malato oncologico deve in primo luogo non rinunciare alla cura, né limitare gli accessi in ospedale, laddove si rendano necessari.
Se nel corso della prima ondata gli ospedali si sono trovati in una condizione di emergenza, oggi essi rappresentano un luogo sicuro per i nostri malati.
I pazienti che necessitano di ricovero vengono sistematicamente sottoposti a test rapido o sierologico per la rilevazione precoce della infezione SARS-CoV-2; vengono garantite le misure di distanziamento tra i letti dei malati; da parte del personale sanitario vengono adottate tutte le norme igienico-sanitarie atte alla riduzione della trasmissione dell’infezione; infine vengono limitati gli accessi ai familiari o al personale esterno con lo scopo di ridurre il più possibile il rischio di contagio.
Per i pazienti che ricevono prestazioni in regime di ricovero giornaliero o ambulatoriale la limitazione del contagio viene garantita anche da una riduzione dei tempi di attesa delle prestazioni, quindi riduzione del tempo di stazionamento in sala d’aspetto; una rigorosa pianificazione degli accessi; e dal triage in ingresso atto a rilevare situazioni sospette per contatto diretto o indiretto con persone risultate positive al test SARS-CoV-2 o in attesa di esito, o per la presenza di sintomatologia sospetta (tosse, febbre, perdita del gusto e dell’olfatto etc…).
Tuttavia, se nel corso della prima ondata la principale fonte di contagio per i nostri malati è stato l’ambiente ospedaliero, nel corso della seconda ondata il contagio nelle strutture sanitarie si è fortunatamente ridotto.
Nella seconda ondata, i contagi sono avvenuti in ambito familiare.
In questa fase, infatti, i pazienti si sono contagiati prevalentemente in ambiente familiare o in situazioni comunque non correlabili agli accessi ospedalieri necessari per il trattamento.
Per cui oggi è in questo contesto che ai nostri malati è richiesto il massimo rigore nel rispetto delle norme igienico-sanitarie dimostratesi efficaci nella limitazione del contagio.
Nello specifico è consigliabile: in primo luogo aderire alla campagna vaccinale senza alcuna esitazione; limitare il più possibile visite di parenti e amici esterni al nucleo familiare, anche se vaccinati; evitare di frequentare luoghi affollati e chiusi, laddove indispensabile identificare degli orari strategici di minore affollamento; evitare di utilizzare mezzi pubblici per gli spostamenti; mantenere sempre la distanza di sicurezza e la mascherina senza mai abbassare la guardia; adottare manovre di autoisolamento temporaneo in caso di situazioni sospette o a rischio che coinvolgano le persone del proprio nucleo familiare.
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