Il paziente, in generale, ha un ottimo rapporto con il medico di medicina generale, quasi amichevole, ma quando si tratta di farsi seguire nel follow up oncologico il malato fa riferimento alla figura dell’oncologo.
In realtà, si necessita di un rapporto più ampio che coinvolga il personale medico nella sua interezza.
Si stima che nel nostro paese nel 2040 ci saranno 26 milioni di persone con una storia di cancro alle spalle, dato tanto sbalorditivo, se paragonato ai numeri del 1975, quando i malati di cancro erano circa 3 milioni.
È vero ci si ammala di più, ma si sopravvive molto di più, il tumore in molti casi cronicizza, permettendo al malato di vivere molto a lungo, ponendo alla medicina questioni importanti soprattutto sul dopo fase acuta e cioè sulla fase del follow up.
La fase del follow up, con controlli programmati, è davvero importante sia per il recupero del paziente sia per individuare grazie a esami specifici eventuali recidive. È una fase che può essere molto lunga e le indicazioni variano a seconda del tipo di tumore.
Infatti, la durata del follow up oncologico è diversa per ogni paziente, anche in base al tipo di cancro, al trattamento ricevuto e alla sua storia sanitaria.
Se nei primi 5 anni dopo la fine delle terapie il professionista di riferimento rimane l’oncologo, passato questo tempo “vigile”, il medico di famiglia gioca un ruolo centrale, nonostante, come vedremo, non la pensano così molti italiani.
La sostituzione del follow-up specialistico dell’oncologo con quello gestito dal medico di medicina generale è da incentivare, oltre che per motivi logistici anche per il rapporto di fiducia creatosi con il medico di famiglia.
Anzi, quest’ultimo ha il ruolo centrale di collegare i vari specialisti che intervengono nella vita del malato e di aiutare il paziente anche dal punto di vista relazionale, psicologico e sociale.
Secondo un’indagine di AIOM, in Italia solo il 9% dei pazienti nella fase di follow up si affida al medico di famiglia, ritenendo l’oncologo più preparato sulla questione cancro.
In realtà, non è tanto una questione formativa, ma è compito dei medici di medicina generale offrire tutto il supporto al malato che ha superato la fase acuta della malattia e cerca di vivere una vita il meno ansiosa possibile.
Bisogna costruire un dialogo attivo tra il paziente, l’oncologo, che grazie alla sua formazione specialistica può interpretare qualunque segnale, e il medico di medicina generale, che proprio perché conosce approfonditamente il paziente, può essere d’aiuto soprattutto come sostegno psicologico.
La fase post terapie permette di identificare prima possibile eventuali recidive per intervenire con una terapia efficace; è, inoltre, un momento importante per discutere con il paziente della neoplasia e degli effetti della stessa sulla vita in genere. Inoltre, è un indicatore del lavoro dei centri specialistici e permette di identificare gli effetti iatrogeni, intervenendo tempestivamente.
Nella fase di follow up sono, come anticipato, riscontrate molte problematiche psicosociali vissute dal paziente, come il cambiamento della percezione corporea, ansia per la possibilità di recidive, difficoltà lavorative, assicurative e di reinserimento nel tessuto sociale.
In questa fase non bisogna sottovalutare il valore dell’informazione, il paziente deve essere adeguatamente informato anche dal medico di medicina generale sul ritorno al lavoro, sulla riabilitazione, lo stato di salute e la promozione di uno stile di vita sano.
Così il follow up diventa un momento cruciale nel percorso di guarigione del paziente, che richiede la collaborazione di tutti e in questa fase così delicata non possono non essere coinvolti i caregiver, spesso anch’essi schiacciati da un passato non “passato”.
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