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La vita sotto il turbante: l’unione tra donne fa la forza

Il progetto La vita sotto il turbante nasce dalla collaborazione tra Go5 per mano con le donne Onlus e la Cooperativa Alice per Sartoria San Vittore e ha lo scopo di aiutare donne che soffrono, per il cancro al seno o per la detenzione.
I turbanti confezionati dalle sarte sono distribuiti alle donne in cura, costrette per un periodo, alla perdita dei capelli.

Secondo i Numeri del Cancro in Italia 2021 il tumore al seno è la patologia neoplastica più diffusa tra le donne, circa 834 mila i casi registrati, con un’incidenza del 43% sul totale delle donne malate di cancro.
Come più volte abbiamo sottolineato la prevenzione primaria e secondaria, l’adesione ai programmi di screening e l’adozione di uno stile di vita sano sono tra i fattori determinanti del calo costante della mortalità rispetto agli anni passati.
Abbiamo anche parlato di come si sentono le donne durante le cure, di come vivono il cambiamento, sociale, culturale e soprattutto fisico, perché anche se temporaneo, quest’ultimo incide molto sul senso di misconoscimento della donna.

La perdita dei capelli, in seguito alla chemioterapia, è tra gli effetti peggio avvertiti dalle donne, che si sentono meno femminili e costantemente sotto gli occhi degli altri.

Qui abbiamo parlato di un altro splendido progetto.

Perché scegliere di indossare un turbante?

La scelta di indossare una parrucca o un turbante risponde proprio alla necessità di continuare a sentirsi piacevoli ai propri occhi e magari agli occhi del partner.

Indossare un turbante colorato, in seta, in tessuti wax o indiani è una scelta pratica per la vita quotidiana e allo stesso tempo è un modo per giocare con il proprio essere donna e con la propria bellezza.

I turbanti del progetto sono realizzati, secondo un modello ideato dalla stilista Rosita Onofri, dalle detenute del carcere San Vittore e sono disponibili per le donne malate a fronte di una piccola donazione.
L’iniziativa veicola un messaggio di solidarietà tra donne, accomunate dalla sofferenza, sia quella della malattia sia quella della detenzione.

Infatti, il turbante diventa un simbolo di integrazione tra le detenute soddisfatte nel creare un pezzo unico, frutto del loro lavoro artigianale.
È un modo per sentirsi “libere” dalle mura del carcere e lavorare continuando a mantenere economicamente le famiglie all’esterno, perché l’Ass. Go5 commissionando i turbanti, offre loro un impiego.

Le parole di Cristina…

Così Cristina Gatelli, una delle fautrici del progetto, descrive la scelta di indossare il turbante:
«Quella del turbante, in realtà, è una scelta molto personale. Alcune preferiscono indossare una parrucca, perché consente di non dover dare spiegazioni né in famiglia, magari con i figli piccoli che fanno fatica a vedere la mamma senza capelli, né sul lavoro o quando si incontra qualcuno per strada. Poi ci sono le pazienti che non hanno problemi a mostrare la testa calva: sono tranquille e non intimorite dalle possibili reazioni delle altre persone. Il turbante invece viene scelto da chi non si sente di rimanere a capo scoperto, ma non vuole nemmeno nascondere del tutto la malattia. Quello che offre è un senso di libertà e di accettazione rispetto a quello che sta accadendo, un modo di giocare con l’abbinamento di colori e dire che la propria esistenza non si ferma al tumore“.

Come aiutare il progetto La vita sotto il turbante?

La vita sotto il turbante è alla ricerca di stoffe e di luoghi fisici o virtuali ove presentare il progetto.
Per chi, invece, fosse alla ricerca dei turbanti è possibile trovarli:

  • Consorzio Viale dei Mille a Milano
  • Online qui
  • Presso lo store Pretty Box sempre a Milano

Chemioterapia e alopecia: il progetto Onco Hair

L’alopecia è tra le conseguenze più temute della chemioterapia, una volta superato lo choc per la diagnosi e la paura di morire a causa del tumore.
Circa il 47% delle donne la considera l’aspetto più difficile da accettare legato alle cure e il 10 % delle malate è tentato di rifiutare le cure, proprio per evitare la perdita dei capelli.

Onco Hair: protesi contro l’alopecia

Ad oggi il rimborso della parrucca non è previsto dal Sistema Sanitario Nazionale, anche se alcune regioni stanziano fondi a copertura parziale o totale per l’acquisto.
Il progetto Onco Hair, a cura dell’Associazione per il Policlinico Onlus, Fondazione Cariplo e CRLAB, dona protesi tricologiche di capelli naturali alle donne che vivono in condizioni economiche disagiate e devono affrontare il percorso della chemio.

Più che una parrucca si tratta di una protesi del capillizio altamente personalizzata, un progetto realizzato presso i laboratori CRLAB di Zola Pedrosa (Bologna) ed esportato in tutto il mondo.
La protesi è realizzata con capelli umani inseriti uno alla volta in una membrana polimerica biocompatibile coperta da brevetto.

Come migliorare l’immagine di sè durante la chemio


La guerra contro il cancro si combatte partendo dallo stato d’animo giusto.
Molte delle donne intervistate lamentano il senso di impotenza, di vergogna nell’indossare le parrucche tradizionali che spesso creano disagio spostandosi e attirando lo sguardo delle persone.
Sentirsi continuamente guardate come malate, aumenta la sofferenza psicologica.

Infatti, uno studio pilota realizzato da Salute Donne Onlus e condotto presso l’Istituto Nazionale Tumori di Milano ha misurato in 10 punti di miglioramento sulla scala BIS (scala dell’immagine corporea che va da 0 a 30) l’impatto positivo dell’indosso del dispositivo, rispetto alla parrucca.

I capelli, soprattutto nelle donne,  sono un elemento identitario fondamentale e nonostante la ricrescita dei capelli sia prevista dopo circa 3-6 mesi dalla fine delle cure, è bene capire qual è il modo migliore per convivere con i cambiamenti fisici indotti dalle cure.

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