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Il trattamento delle neoplasie mammarie dei tumori ginecologici

Lanciano, 14 ottobre

L’incontro, in presenza, vuole essere un confronto sulle conquiste e i limiti della ricerca scientifica e medica sulle neoplasie mammarie e ginecologiche.
Il dibattito approfondisce alcune tematiche legate al carcinoma mammario HER2 Overexpressing e Triplo negativo e sul carcinoma mammario metastatico HR+/HER2-, analizzando in particolare la genetica medica e la gestione delle tossicità e i meccanismi di resistenza.
I partecipanti si soffermano, inoltre, sul carcinoma ovarico e dell’endometrio e le ultime terapie: dai molecolari, agli inibitori PARP al platino.


Cancro ovarico: cause, sintomi e terapie possibili

Secondo i dati dell’Associazione Italiana Registro Tumori, sono circa 5300 i nuovi casi annui di cancro ovarico in Italia, la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi è del 40% e quella a dieci anni scende al 31%.
Risulta elevato anche il numero di decessi, questo perché, come vedremo nel dettaglio, è un male subdolo i cui sintomi sono facilmente fraintesi.

Il tumore ovarico è una forma neoplastica piuttosto aggressiva che colpisce l’ovaio, che insieme all’utero e le tube di Falloppio rappresenta l’apparato genitale femminile.
Le ricerche sono concordi nel far derivare il tumore all’ovaio da più malattie localizzate in sedi diverse, che poi crescono e si sviluppano in sede ovarica.
Per questo sembra riduttivo parlare di tumore ovarico, meglio far riferimento a tumore maligno dell’ovaio, delle tube o del peritoneo.

Quanti tumori ovarici esistono?

Secondo la classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ne esistono di due tipi:
primitivo, che ha origine nell’ovaio
secondario, che ha origine in altri organi
Il primitivo è ulteriormente distinto in:
epiteliale o carcinoma ovarico, quello più diffuso che si sviluppa nell’epitelio, il sottile strato di tessuto che riveste l’ovaio
stromale, dal tessuto di sostegno dell’ovaio (raro)
germinale, dalle cellule germinali (raro).
Oggi si ritiene che questa malattia sia eterogenea, perché riconducibile a 5 principali sottotipi istologici: sieroso ad alto e basso grado; a cellule chiare, endometrioide e mucinoso.

Quindi, il termine tumore epiteliale maligno dell’ovaio, definisce 5 malattie che hanno tutte la stessa sede.

Quali sono le cause?

Tra le cause legate allo sviluppo del tumore, annoveriamo:

  • la predisposizione genetica, trasmissibile tra i vari membri di una stessa famiglia. Secondo il Cancer National Institute una percentuale tra il 7 e il 10% dei casi è da collegare alla genetica.
    In Italia è ormai prassi testare la presenza di mutazioni nei geni nelle donne a cui viene diagnosticato un tumore sieroso ad alto grado, cosa che può essere fatta attraverso un semplice prelievo di sangue. 
  • Età, il rischio è maggiore dopo i 50 anni
  • Un alto numero di ovulazioni, poiché l’ovaio ad ogni ovulazione subisce un piccolo danno che potrebbe portare alla comparsa di mutazioni
  • Terapie ormonali
  • Endometriosi
  • Obesità

L’uso di contraccettivi ormonali, l’allattamento al seno e la gravidanza sono considerati fattori di protezione in grado di ridurre il rischio di insorgenza del tumore dell’ovaio.

Come riconoscere i sintomi del tumore:

Il tumore all’ovaio è piuttosto subdolo e presenta sintomi che possono essere facilmente confusi con problemi all’apparato digerente, per esempio dolore al basso ventre, gonfiore, difficoltà digestive.
Tra i sintomi meno comuni, diarrea, mal di schiena, mancanza di appetito etc.
Purtroppo non esistono programmi di screening utili ad effettuare una diagnosi precoce, per questo spesso la malattia viene individuata tardi.

A livello diagnostico, se c’è il sospetto della malattia, è il caso di eseguire un’anamnesi della storia familiare, esami dettagliati del sangue e visita ginecologica.

Dall’intervento chirurgico ai monoclonali, ecco le possibili terapie

Il trattamento per eccellenza è quello chirurgico. I dati confermano che la percentuale di guarigione è più alta se le pazienti sono curate in centri d’eccellenza per il cancro ovarico e il chirurgo riesce a rimuovere la massa tumorale e le eventuali metastasi con estrema precisione.
Inoltre, potrebbero essere rimossi: tutto l’utero, parte dello stato sieroso che riveste l’addome e le pelvi e i linfonodi addominali.
Dopo la chirurgia, le pazienti generalmente devono sottoporsi a chemioterapia, allo scopo di eliminare tutte le eventuali cellule maligne rimaste.
Per molti anni, infatti, l’unica terapia approvata prevedeva l’uso di due farmaci da somministrarsi insieme carboplatino e taxolo.
Oggi è prediletto l’uso di anticorpi monoclonali come il bevacizumab e una nuova categoria di farmaci gli “inibitori di PARP” (PARPi), che hanno ricevuto parere favorevole dall’Ema.

Nella cura del cancro ovarico molta strada è stata fatta, iniziando a delinearne le caratteristiche e i sintomi, ma molto ancora si deve fare in fatto di screening e terapie.

Tumori femminili: il punto sulle neoplasie femminili più diffuse

Il webinar “Tumori femminili“, patrocinato dall’AIOM (Associazione italiana di oncologia medica) si svolgerà il prossimo 7 maggio.
Un programma denso di dibattiti e interventi per raccontare i progressi diagnostici e terapeutici nella cura delle neoplasie femminili più diffuse: il cancro ovarico e quello alla mammella.

Negli ultimi anni si è assistito ad un importante progresso nell’ambito della comprensione dell’eziopatogenesi del tumore ovarico e a un lento, ma progressivo aumento della sopravvivenza delle pazienti con stadi avanzati di carcinoma ovarico, soprattutto grazie al miglioramento delle tecniche chirurgiche e all’introduzione di farmaci biologici nel trattamento di tale neoplasia, comprendenti anche i cosiddetti farmaci intelligenti a bersaglio molecolare.

Negli ultimi 20 anni si registrano progressi importanti anche nella cura del cancro al seno; ove nonostante l’alta incidenza, stiamo assistendo a un significativo cambiamento nella storia della malattia, rappresentato da un progressivo calo della mortalità e della morbilità. Risultati raggiunti grazie a diagnosi precoci e trattamenti sempre più mirati.

Qui il programma del convegno

Cancro ovarico: origine da due tipi di cellule

I risultati della ricerca dell’Istituto Europeo di Oncologia e dell’Università di Milano svelano come la forma più aggressiva di cancro ovarico ha origine da due tipi di cellule provenienti da tessuti diversi: quindi si tratterebbe di due malattie distinte, ciascuna con la propria diagnosi e cura.

Nel mondo oltre 200mila donne ogni anno scoprono di essere affette dal cancro ovarico, nel 70% dei casi si tratta di carcinomi di alto grado con una bassa curabilità.

La principale motivazione è il ritardo nella diagnosi, infatti le pazienti scoprono la malattia in uno stadio avanzato, nel quale è difficile non solo identificare una terapia efficace, ma anche la patogenesi molecolare del tumore.
La ricerca è riuscita, grazie a un approccio epigenetico innovativo, a identificare il tessuto all’origine.

L’impronta epigenetica del cancro ovarico

“Per capire da quale tessuto nasceva il tumore – spiega Pietro Lo Riso, primo autore dello studio – abbiamo cercato un marcatore epigenetico in grado di distinguere le due possibili origini: le tube di Falloppio e l’epitelio ovarico.
Abbiamo utilizzato un approccio basato sulla metilazione del DNA, uno dei meccanismi che modulano l’espressione dei geni, in pratica una delle istruzioni che la cellula usa per attivare nel suo DNA le parti che le permettono di acquisire la sua identità. La nostra ipotesi di partenza era che nella trasformazione neoplastica potesse rimanere una “memoria” della cellula di origine, cioè che nel tumore ci fossero tracce di metilazione del DNA proprie del tessuto in cui era nato. Quindi abbiamo prima identificato l’impronta epigenetica specifica dei due tessuti, cioè un insieme di regioni del DNA differentemente metilate nell’epitelio ovarico e in quello delle tube, e abbiamo utilizzato questa impronta come marcatore per distinguere i due tumori”.

L’impronta epigenetica della cellula iniziale discrimina i due sottotipi di cancro ovarico, e dall’identificazione del tessuto è chiaro che la forma che ha origine nell’epitelio è più aggressiva dell’altra.

Conoscere le modificazioni cellulari che hanno trasformato il tessuto da sano a neoplastico, avrà riscontri importanti sulla prognosi e la terapie.


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