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Tag: obesità

Fattori ambientali e genetici nello sviluppo del cancro prostatico

Quali sono i fattori legati alla genetica e all’ambiente determinanti nella comparsa delle forme aggressive di cancro alla prostata e di eventuali recidive?

Il cancro alla prostata è nei paesi occidentali quello più frequente nella popolazione maschile e in Italia si attesta al terzo posto fra le cause di morte per cancro.

La prevenzione primaria, con programmi di screening sempre più mirati e secondaria, cioè l’adozione di comportamenti protettivi nei confronti dell’organismo, hanno determinato una crescita della sopravvivenza maschile negli ultimi decenni.

Il cancro alla prostata è estremamente vario, da una parte abbiamo forme silenti e poco aggressive, dall’altra forme più aggressive caratterizzate da elevati livelli di mortalità.

Cancro alla prostata: variabili genetiche e socio-demografiche

La nascita del cancro alla prostata è legata a fattori non modificabili, legati cioè alla familiarità con la malattia, all’età, al patrimonio genetico e all’altezza, che possono però essere un utile strumento diagnostico per individuare le categorie di soggetti più a rischio.

Un altro fattore di rischio è l’appartenenza etnica: i casi nell’etnia afro-americana sono maggiori rispetto a quelli registrati nella caucasica con più del doppio del rischio di morte.
Interessante il fatto che i cinesi si ammalino meno in Cina, ma spostandosi verso ovest il rischio aumenta, dimostrando la forte correlazione con l’ambiente.

Infatti, nella comparsa della neoplasia sono determinanti i cosiddetti fattori ambientali, sui quali ognuno di noi può intervenire, modificando per esempio lo stile di vita.

Fattori ambientali: quali vanno controllati?

Vediamo insieme quali sono i fattori ambientali che rendono più esposto l’uomo allo sviluppo del cancro alla prostata.

  • Fumo: la letteratura scientifica ci dice con chiarezza quanto il consumo o l’esposizione al fumo misurati in pacchetti/anno siano determinanti nello sviluppo delle forme più aggressive di cancro prostatico, con un aumento della mortalità.
  • Elevato consumo di prodotti caseari, carni rosse e cibi grassi: è stata dimostrata la correlazione tra elevati introiti di calcio nell’organismo e il cancro alla prostata.
    Infatti, il calcio in grosse quantità limita l’azione della vitamina D, che invece ha un ruolo protettivo.
    Mentre è da prediligere un’alimentazione ricca di verdure e frutta di stagione.
  • Obesità: ne abbiamo parlato più volte, anche perché il sovrappeso è tra le cause dei tumori in genere.
    Nello specifico, l’accumulo di grasso addominale va a incidere negativamente sul funzionamento ormonale dell’insulina, estradiolo, citochine pro-infiammatorie e testosterone.
    Inoltre, dopo un intervento di cancro alla prostata, la possibilità di recidive è maggiore nelle persone obese.
  • Colesterolo: livelli alti di colesterolo nel sangue sono associati al cancro prostatico, soprattutto l’utilizzo delle statine, farmaci usati contro il colesterolo, sembrerebbe avere un’incidenza nello sviluppo della malattia.
  • L’esposizione nei luoghi di lavoro: alcuni studi dimostrano come alcune categoria di lavoratori sono più soggette a causa dell’esposizione a prodotti tossici della combustione o pesticidi.
  • Infine, anche se siamo sul piano delle ipotesi scientifiche, alcune malattie sessualmente trasmissibili come la gonorrea o la clamidia, causa di infiammazioni alla prostata, potrebbero essere variabili incisive sullo sviluppo tumorale.

In generale è preferibile mangiare bene, svolgere attività fisica, almeno 30 minuti al giorno ed evitare situazioni stressanti, che incidono negativamente sull’azione del sistema immunitario.

Bibite zuccherate e aumento del rischio tumorale

Negli ultimi 30 anni il consumo di bibite zuccherate è aumentato notevolmente.
È ormai noto che queste tipo di bevande aumenta il rischio di diabete, malattie cardiovascolari ed è strettamente connesso all’obesità.
Molti studi dimostrano, inoltre, una correlazione tra il consumo di bevande zuccherate e l’aumento del rischio di alcune forme di tumore.

Bibite zuccherate: le ricerche

I risultati di uno studio pubblicato sulla rivista di gastroentologia Gut. Bibite dimostrano che consumare eccessivamente bevande zuccherate e gassate durante la giovane età aumenta il rischio di sviluppare un tumore al colon retto prima dei 50 anni.
Per valutare la relazione tra consumo errato di bevande e aumento del tumore è stato preso in considerazione un campione di partecipanti monto ampio al Nurse’s Health Study II, uno dei maggiori studi epidemiologici sui fattori di rischio in oncologia.

Lo stato di salute delle partecipanti, tutte infermiere, è stato monitorato per 24 anni.
Ogni 4 anni era prevista la compilazione di un questionario dettagliato e le partecipanti sono state suddivise in base al consumo di bibite di  vario tipo: bibite zuccherate, succo di frutta, bibite dietetiche con dolcificanti.
A circa la metà del campione è stato chiesto di annotare anche le abitudini alimentari tra i 13 e 18 anni.

I risultati


Dall’analisi dei dati su oltre 95.000 partecipanti è risultato che le donne che consumavano almeno 2 bicchieri di bevande gassate e zuccherate al giorno avevano un rischio più che doppio di sviluppare il tumore rispetto a quelle che ne consumavano uno.
Inoltre, il rischio aumentava del 16 per cento per ogni bevanda in più al giorno e del 32 per cento se il consumo avveniva nell’adolescenza.
Secondo lo studio, una persona adulta potrebbe sostituire la bevanda zuccherata con un caffè o un bicchiere di latte, riducendo il rischio quasi della metà.
Diverso il discorso sulla sostituzione con succhi di frutta naturali, perché anche questi contengono zuccheri.

Il problema non è il consumo in sé, ma il protrarsi del consumo nel tempo.


I picchi di insulina sono collegati allo sviluppo tumorale.
L’insulina è prodotta dal pancreas per smaltire lo zucchero nel sangue. Quando le concentrazioni di zucchero nel sangue sono molto elevate, il livello di insulina raggiunge dei picchi, che portano alla crescita e all’infiammazione delle cellule.
Come sappiamo anche i kg di troppo aumentano il rischio.
Quando si tratta di alimentazione è importante essere moderati, non esistono cibi che fanno male e bene in assoluto, gli eccessi sono nocivi sempre, anche rispetto al consumo di bevande zuccherate.

Cancro ovarico: cause, sintomi e terapie possibili

Secondo i dati dell’Associazione Italiana Registro Tumori, sono circa 5300 i nuovi casi annui di cancro ovarico in Italia, la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi è del 40% e quella a dieci anni scende al 31%.
Risulta elevato anche il numero di decessi, questo perché, come vedremo nel dettaglio, è un male subdolo i cui sintomi sono facilmente fraintesi.

Il tumore ovarico è una forma neoplastica piuttosto aggressiva che colpisce l’ovaio, che insieme all’utero e le tube di Falloppio rappresenta l’apparato genitale femminile.
Le ricerche sono concordi nel far derivare il tumore all’ovaio da più malattie localizzate in sedi diverse, che poi crescono e si sviluppano in sede ovarica.
Per questo sembra riduttivo parlare di tumore ovarico, meglio far riferimento a tumore maligno dell’ovaio, delle tube o del peritoneo.

Quanti tumori ovarici esistono?

Secondo la classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ne esistono di due tipi:
primitivo, che ha origine nell’ovaio
secondario, che ha origine in altri organi
Il primitivo è ulteriormente distinto in:
epiteliale o carcinoma ovarico, quello più diffuso che si sviluppa nell’epitelio, il sottile strato di tessuto che riveste l’ovaio
stromale, dal tessuto di sostegno dell’ovaio (raro)
germinale, dalle cellule germinali (raro).
Oggi si ritiene che questa malattia sia eterogenea, perché riconducibile a 5 principali sottotipi istologici: sieroso ad alto e basso grado; a cellule chiare, endometrioide e mucinoso.

Quindi, il termine tumore epiteliale maligno dell’ovaio, definisce 5 malattie che hanno tutte la stessa sede.

Quali sono le cause?

Tra le cause legate allo sviluppo del tumore, annoveriamo:

  • la predisposizione genetica, trasmissibile tra i vari membri di una stessa famiglia. Secondo il Cancer National Institute una percentuale tra il 7 e il 10% dei casi è da collegare alla genetica.
    In Italia è ormai prassi testare la presenza di mutazioni nei geni nelle donne a cui viene diagnosticato un tumore sieroso ad alto grado, cosa che può essere fatta attraverso un semplice prelievo di sangue. 
  • Età, il rischio è maggiore dopo i 50 anni
  • Un alto numero di ovulazioni, poiché l’ovaio ad ogni ovulazione subisce un piccolo danno che potrebbe portare alla comparsa di mutazioni
  • Terapie ormonali
  • Endometriosi
  • Obesità

L’uso di contraccettivi ormonali, l’allattamento al seno e la gravidanza sono considerati fattori di protezione in grado di ridurre il rischio di insorgenza del tumore dell’ovaio.

Come riconoscere i sintomi del tumore:

Il tumore all’ovaio è piuttosto subdolo e presenta sintomi che possono essere facilmente confusi con problemi all’apparato digerente, per esempio dolore al basso ventre, gonfiore, difficoltà digestive.
Tra i sintomi meno comuni, diarrea, mal di schiena, mancanza di appetito etc.
Purtroppo non esistono programmi di screening utili ad effettuare una diagnosi precoce, per questo spesso la malattia viene individuata tardi.

A livello diagnostico, se c’è il sospetto della malattia, è il caso di eseguire un’anamnesi della storia familiare, esami dettagliati del sangue e visita ginecologica.

Dall’intervento chirurgico ai monoclonali, ecco le possibili terapie

Il trattamento per eccellenza è quello chirurgico. I dati confermano che la percentuale di guarigione è più alta se le pazienti sono curate in centri d’eccellenza per il cancro ovarico e il chirurgo riesce a rimuovere la massa tumorale e le eventuali metastasi con estrema precisione.
Inoltre, potrebbero essere rimossi: tutto l’utero, parte dello stato sieroso che riveste l’addome e le pelvi e i linfonodi addominali.
Dopo la chirurgia, le pazienti generalmente devono sottoporsi a chemioterapia, allo scopo di eliminare tutte le eventuali cellule maligne rimaste.
Per molti anni, infatti, l’unica terapia approvata prevedeva l’uso di due farmaci da somministrarsi insieme carboplatino e taxolo.
Oggi è prediletto l’uso di anticorpi monoclonali come il bevacizumab e una nuova categoria di farmaci gli “inibitori di PARP” (PARPi), che hanno ricevuto parere favorevole dall’Ema.

Nella cura del cancro ovarico molta strada è stata fatta, iniziando a delinearne le caratteristiche e i sintomi, ma molto ancora si deve fare in fatto di screening e terapie.