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Sopravvivenza e cancro

La sopravvivenza dopo il cancro è aumentata negli ultimi 15 anni e gli studi hanno tentato di misurare la guarigione nel tentativo di dare risposte al personale sanitario e soprattutto ai pazienti.
In Italia, dal 2006 al 2020 si è passati da 2 milioni e mezzo di sopravvissuti dopo la diagnosi a 3,6 milioni, circa il 5,7% della popolazione.

Guarigione e cancro sono termini spesso accostati, soprattutto nel linguaggio comune dei pazienti, che necessitano, ottenuta la diagnosi di cancro, di una prospettiva positiva per il futuro.
Per determinare la guarigione sono disponibili diversi indicatori, utili anche a comprendere l’impatto del tumore sulla popolazione totale, la qualità della vita dei pazienti e l’efficacia delle terapie.
In tal senso banalmente il tasso di guarigione permette di misurare l’efficienza dei sistemi sanitari nazionali.

Quali sono gli indicatori della sopravvivenza?

Quando si parla di cancro, parlare di sopravvivenza è delicato, nonostante i netti miglioramenti degli ultimi anni. Quali sono gli indicatori utilizzati?

  1. L’incidenza, cioè quanti nuovi casi sono diagnosticati nel target di riferimento nell’arco di un anno
  2. La sopravvivenza, la percentuale di quanti sopravvivono al tumore trascorsi 5 o 10 anni dalla diagnosi o dalla fine delle terapie
  3. La prevalenza, i casi totali di malati di cancro in una data popolazione
  4. La mortalità, quanti casi di morte in un anno sono addebitabili al cancro

Il concetto di guarigione soprattutto se legato al cancro non ha mai una definizione univoca o perentoria, anche quando si parla di sopravvivenza a 5 anni, non facciamo riferimento al numero dei pazienti vivi a 5 anni dalla diagnosi, ma al numero di quanti non sono morti a causa del cancro trascorsi 5 anni, eliminando l’incidenza di altre possibili altre patologie.

È vero, oggi, il cancro non è più una malattia incurabile, ma, come anticipato, la guarigione è un concetto ambivalente, a volte quasi astratto, la cui definizione va dalla sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi all’impossibilità di guarire definitivamente dal cancro.

Sopravvivenza a 5 anni significato

Probabilmente avrai sentito parlare della sopravvivenza a 5 o 10 anni come indicatore universale per determinare la guarigione dal cancro.
Se analizziamo i dati degli ultimi anni, scopriamo che in Italia la mortalità continua a diminuire per entrambi i sessi: la sopravvivenza delle donne a 5 anni si attesta al 63%, quella degli uomini al 54%.

La stessa tendenza positiva si osserva negli altri paesi europei (dati Eurocare), nonostante i dati ci dicano in Italia si ha la possibilità di guarire prima e meglio dalla malattia.

A incidere sulla sopravvivenza sono il tipo di cancro e l’età.
Infatti, non tutti i pazienti affetti dallo stesso tumore hanno la stessa percentuale di sopravvivenza, perché i malati oncologici sono esposti a decesso per cancro, ma anche alle altre patologie condivise con la popolazione “normale”.
E con l’età che avanza, aumenta anche la possibilità di morire per cancro.
La sopravvivenza è inversamente proporzionale al crescere dell’età, probabilmente a causa della comorbilità e dal fatto che la presenza di ulteriori patologie infici la riuscita delle terapie, aumentando gli effetti collaterali.

Prevenzione secondaria e guarigione

La sopravvivenza a 5 anni è influenzata, anche, dalla fase nella quale viene diagnostica la malattia e l’efficacia delle terapie e di conseguenza molto importante è l’adesione ai programmi di screening, quella che comunemente chiamiamo prevenzione secondaria e l’accesso alle cure.
La sopravvivenza, come anticipato, è legata all’età e al tipo di tumore e in alcuni casi la “guarigione” medica è addirittura antecedente a tale limite temporale.
Per esempio il tempo per la guarigione è inferiore ai 5 anni per il tumore della tiroide, del testicolo e dei linfomi di Hodgkin; inferiore ai 10 anni per tumore della cervice uterina, colo retto e melanoma.

Mentre per altri tumori, il rischio che la malattia si ripresenti permane per molto tempo e in altri ancora, si parla di cronicizzazione.
Atro dato da considerare positivamente, è che più passa il tempo, più il rischio di una ripresa della malattia o di morte tende a diminuire.

In conclusione, solo fino a pochi anni fa, sopravvivere a una diagnosi di cancro sembrava impossibile, oggi la sopravvivenza è in netta crescita, grazie alla prevenzione primaria e secondaria e a cure sempre più personalizzate ed efficaci.

Tumore alla cervice uterina: screening e trattamento

Il tumore alla cervice uterina è al secondo posto, dopo quello alla mammella, per percentuale di donne colpite.
Nel 2018 l’OMS ha intrapreso una campagna mondiale contro il cancro al collo dell’utero, con un’azione coordinata che garantisse a tutte le ragazze (12 anni in su) la vaccinazione contro l’HPV, il papilloma virus umano, e che tutte le donne con età superiore ai 30 anni fossero sottoposte a screening e cure contro le lesioni precancerose.

La diagnosi precoce e l’individuazione di tumori in fase iniziale sono responsabili della riduzione della mortalità nel nostro paese.

Secondo i dati di un recente studio l’azione combinata del vaccino e degli screening precoci condurrebbe entro il 2070 ad almeno 12-13 milioni di casi in meno.
Si stima che se tutte le donne di età compresa tra i 25 e i 64 anni si sottoponessero regolarmente a gli esami di screening i casi di tumore alla cervice uterina diminuirebbero del 90%. (Fonte Ministero della Salute).

Tumore alla cervice uterina: cause

La causa principale del tumore al collo dell’utero è il papilloma virus, un’infezione persistente trasmessa per via sessuale che colpisce soprattutto le più giovani.
Esistono diversi ceppi di HPV, alcuni molto pericolosi e ben identificati.
L’infezione è la causa primaria, ma esistono anche altri fattori determinanti nell’insorgere della malattia, quali il fumo, l’obesità, la familiarità con la malattia, una dieta poco variegata.

La fortuna, se vogliamo chiamarla così, è che nella maggior parte dei casi l’infezione regredisce spontaneamente e il processo tumorale è piuttosto lento, tra l’insorgere dell’infezione e la comparsa del cancro possono trascorrere anche 10-15 anni.

Una donna che si sottopone regolarmente ai programmi di screening gratuiti, ha tutto il tempo per intervenire ed evitare di passare da lesioni precancerose a cancerose.

È bene ricordare che sia la prevenzione primaria che la secondaria sono altrettanto importanti nella lotta contro questo tipo di cancro, perché permettono di agire a diversi livelli su diverse fasce d’età.

Prevenzione del cancro al collo dell’utero: dal pap test al test HPV-DNA

I test ai quali sottoporre le donne sono diversi, a seconda dell’età e del tipo di lesione riscontrata.

Il Pap test è il controllo efficace tra i 25-30 anni, mentre soprattutto dopo i 30, viene prescritto l’HPV-DNA test, da ripetere ogni 5 anni.
La validità del Pap test è confermata dal fatto che riesce non solo a individuare eventuali lesioni, ma anche infezioni vaginali.

Per le donne più giovani, l’esame di riferimento rimane il Pap test, mentre per le donne con un’età più adulta, si è dimostrato più efficace il test sul DNA.
Inoltre, il Pap test non è consigliato prima dei 25 anni, questo perché è vero che l’infezione si sviluppa in giovane età, ma di solito regredisce, evitando controlli ulteriori.

L’HPV DNA test ha una maggiore sensibilità rispetto al Pap test, rilevando anomalie non visibili con il secondo, però è meno specifico, e il rischio è quello di individuare lesioni che si risolverebbero da sole.
Lo screening in Italia è raccomandato fino ai 65 anni, dopo di che, se tutti i pap test precedenti sono stati negativi, la scelta di continuare con i controlli annuali è davvero personale.

Quali sono gli esami di secondo livello:

Se il pap test è positivo, la donna è sottoposta alla colposcopia, che permette la visione ingrandita della cervice uterina e successivamente della biopsia, cioè il prelievo di tessuto anomalo per confermare o meno la presenza della lesione precancerosa.

Avere l’infezione da HPV non ha come conseguenza immediata lo sviluppo del cancro, se il test sul DNA risulta positivo, si esegue un ulteriore Pap test, che diventa un esame di completamento, detto pap test di triage.
Se i risultati non presentano particolari alterazioni, il test viene ripetuto dopo 1 anno.

Per quanto riguarda l’approccio terapeutico, è vario a seconda della gravità della lesione, valutata in base all’estensione.
Lesioni poco estese tendono a regredire, lesioni medie vengono trattate con piccoli interventi e lesioni gravi vanno trattate con un approccio terapeutico da valutare caso per caso.

Riusciremo a raggiungere l’ambizioso obiettivo entro il 2070? Sì, se pensiamo che solo in Italia l’incidenza del cancro alla cervice uterina è diminuita del 25%, grazie ai programmi di screening e ai vaccini.

Se vuoi approfondire, ecco il link all’articolo sull’efficacia del vaccino HPV

Quali tipi di prevenzione esistono?

Parliamo spesso di tipi di prevenzione, di quanto adottare uno stile di vita sano e sottoporsi a controlli regolari siano le armi che abbiamo a disposizione nella lotta contro il cancro.

Ma quanti tipi di prevenzione esistono? E quali sono le scelte dipese dal soggetto, che incidono sulla salute in generale e sulla probabilità di sviluppare il cancro in particolare? Vediamole nel dettaglio.

Cosa intendiamo per prevenzione medica?

La prevenzione medica è l’insieme delle attività, azioni e interventi che mirano a ridurre la morbilità, cioè il numero di malati in un tempo e luogo specifici, la mortalità e i rischi legati al profilarsi di una data patologia.

La prevenzione promuove la salute del singolo e della collettività coinvolgendo diversi specialisti, non solo oncologi, ma anche infermieri, psicologi o assistenti sociali.
Inoltre, l’obiettivo della prevenzione è anche quello di migliorare la qualità di vita del malato e promuovere il suo inserimento nel tessuto lavorativo, sociale e familiare.

Prevenzione primaria: cosa s’intende?

Nella prevenzione primaria vengono adottati interventi e promossi comportamenti atti a ridurre l’insorgenza o lo sviluppo della malattia.
Nella popolazione sana, la prevenzione primaria incentiva comportamenti “sani” che riducono la possibilità di contrarre il cancro, agendo sui fattori di rischio.
Esistono, in realtà, due tipi di fattore di rischio collegati al cancro: il sesso, la genetica, l’età sono detti immodificabili, mentre i comportamenti o l’ambiente sono inseriti tra i fattori di rischio modificabili.
Ci si può rivolgere a tutta la popolazione, pensiamo ad esempio alla promozione dell’attività fisica regolare, o a gruppi di persone ad alto rischio, come i fumatori.

Le campagne antifumo, quelle pro vaccinazione HPV, l’educazione alimentare, la chemioprevenzione mirano tutte a ridurre, quindi, i fattori di rischio.

Quali sono gli obiettivi della prevenzione secondaria?

Nella prevenzione secondaria la malattia è presente in uno stadio iniziale e curata, spesso ancora prima della comparsa dei sintomi.
Lo strumento per eccellenza della prevenzione secondaria è lo screening, che permette di ridurre al minimo le conseguenze della malattia.
I pap test, la mammografia, l’ecografia alla prostata, la ricerca di eventuali partner sessuali per chi ha sviluppato una malattia sessualmente trasmissibile sono tutti controlli ai quali sottoporsi in base all’età e alla familiarità con la patologia oncologica.

Inoltre, i programmi di screening possono coinvolgere tutta la popolazione in base a criteri stabiliti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Tra i tipi di prevenzione anche la terziaria

Quando parliamo di prevenzione terziaria facciamo riferimento ai programmi per prevenire le recidive o metastasi, successive alla fine dei trattamenti.
Appartengono a questa fase le terapie adiuvanti e le misure riabilitative e assistenziali volte a reinserire il soggetto nella realtà sociale e lavorativa e aumentare la qualità di vita.

Tutti i tipi di prevenzione partono dalle scelte del soggetto, che nella quotidianità può mettere in atto comportamenti, come smettere di fumare, mangiare sano, sottoporsi a controlli regolari, con i quali sarebbe possibile, dati alla mano, prevenire circa il 30% dei tumori.







24esimo Congresso nazionale GOIM

24esimo Congresso nazionale GOIM (Gruppo oncologico dell’Italia meridionale) – Taranto – 23/25 giugno

L’annuale congresso del Goim affronterà le questioni inerenti alla gestione multidisciplinare del paziente, che permette di occuparsi del suo stato dalla diagnosi, alla terapia, alla ripresa.

Inoltre, l’incontro si focalizzerà sui progressi della ricerca scientifica, i quali hanno permesso la produzione di farmaci sempre più efficaci, che hanno aumentato di molto l’aspettativa di vita del malato.

Senza dimenticare di ribadire l’importanza della diagnosi precoce, come punto di partenza basilare nella prevenzione e cura del cancro.

Recidive cancro al seno: un algoritmo prevede il rischio metastasi

Un algoritmo capace di individuare precocemente i casi di recidive cancro al seno è stato progettato dal laboratorio di oncologia dell’IRCSS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo.

La ricerca ha ricevuto un finanziamento di ben 610mila euro dall’AIRC.

Paola Parrella, medico e ricercatrice del laboratorio di oncologia, afferma che nel progetto Portent si è partiti da una classe di nuove molecole chiamate microRNA, le quali rivestono un ruolo fondamentale nel funzionamento delle cellule normali e se alterate, sono collegate ai meccanismi di sviluppo delle metastasi.

Gli stessi ricercatori hanno già affrontato la questione cancro e micro molecole con il progetto precedente, Bremir, finanziato dal Ministero della Salute.

Infatti, hanno identificato 8 microRNA alterate nelle pazienti con un’evoluzione metastatica della malattia.
Successivamente, analizzando 223 casi tra le pazienti della Casa Sollievo, è emerso che almeno due di queste micro molecole sono responsabili della comparsa di recidive e metastasi nei quindici anni successivi alla diagnosi.

È proprio sulla base di questi risultati che il team di biostatistici ha sviluppato un algoritmo.
Dalla ricerca è emerso che l’analisi dei due microRNA applicata al modello clinico base migliora la capacità di predire il futuro negativo della malattia.

La ricerca traslazionale sulle recidive cancro al seno

Lo studio Portent è una ricerca traslazionale, e ha l’obiettivo di estendere le ricerche di laboratorio allo studio clinico per migliorare l’approccio terapeutico.
Per poter applicare l’algoritmo a tutte le pazienti c’è bisogno di fare un discorso generalizzato, non limitato ai soli casi originator.

Inoltre, se gli studi successivi dimostreranno la validità del modello, sarà possibile creare un test di laboratorio per i due miRNA, utilizzato nella gestione clinica delle pazienti affette da cancro al seno.
Il modello potrebbe essere determinante anche nella scelta del tipo di terapia.

Oggi i problemi più rilevanti nella cura del cancro al seno sono correlati a una possibile evoluzione negativa della malattia e alla necessità di avere a disposizione trattamenti efficaci qualora il cancro progredisca.

10 domande sui farmaci contro il cancro

La SIF, Società italiana di farmacologia, fa il punto sulla situazione delle terapie farmacologiche contro il cancro, rispondendo a 10 domande sull’evoluzione dei farmaci, spesso accusati di essere inefficaci e dai devastanti effetti collaterali (SIF).

Ogni anno, in Italia, circa 1000 persone ricevono una diagnosi di tumore maligno, l’incidenza aumenta con l’età, data la minore capacità del nostro organismo di rispondere alle mutazioni genetiche.

Vediamo nel dettaglio come gli esperti oncologi del Sif rispondono alle domande più diffuse su cancro e terapie.

Si guarisce di cancro oggi, grazie ai farmaci?
La risposta, purtroppo, non può essere univoca, data la multiformità del cancro, tanto che dovremmo parlare di tumori.
Inoltre, a determinare il successo delle terapie, è la storia individuale del soggetto, perché ognuno di noi reagisce al cancro in maniera diversa.
Più che di guarire, si dovrebbe parlare di sopravvivenza a 5 o 10 anni oppure, quando non è possibile eradicare il tumore, di convivenza con la malattia.

Perché è difficile eradicare la malattia?
Perché le cellule malate sono molto simili a quelle sane, quindi le terapie rischiano di colpire entrambi i tipi, determinando i cosiddetti effetti collaterali.
Le terapie in tal senso stanno facendo passi da gigante, con farmaci sempre più selettivi, che bersagliano solo le cellule cancerogene.

La chemioterapia è ancora efficace?
La chemioterapia classica, basata sull’uso di farmaci citotossici, nonostante gli effetti collaterali, è ancora molto importante nella lotta contro il cancro.
Oggi, i farmaci chemioterapici sono utilizzati con successo nella cura dei tumori pediatrici e in combinazione con farmaci biologici o biotecnologici, hanno prolungato di molto l’aspettativa di vita di persone affette da tumori aggressivi.

La radioterapia è ancora efficace?
Sì, la radioterapia ha il merito di bersagliare in maniera più selettiva le cellule malate.
Grazie ad apparecchiature che colpiscono il cancro con fasci di luce da diverse angolazioni è possibile colpire il Dna delle cellule tumorali, distruggendole.

Terapie: nuove frontiere

Esistono terapie più precise e meno invasive della chemio o radioterapia?
La ricerca oggi ha permesso l’introduzione di nuovi farmaci sempre più selettivi, che identificano bersagli tipici.
È nella conoscenza della genetica che troviamo l’origine di farmaci più precisi, con meno effetti collaterali.
Pesiamo, ad esempio, agli inibitori della tirosin chinasi, per mezzo dei quali è stato studiato un farmaco capace di bloccare la crescita cellulare anche in diverse neoplasie, oppure agli inibitori del proteasoma e agli inibitori mTor, che vanno a colpire il metabolismo cellulare.

Se la genetica è così importante, perché il cancro non viene curato con farmaci genici?
La strada intrapresa dalla ricerca è proprio questa.
Da poco si parla degli ottimi risultati nella cura dei tumori sanguigni ottenuti con la terapia Cart-T.
Come funziona? I linfociti del sistema immunitario del paziente vengono prelevati, il loro Dna è modificato in laboratorio, in modo da riuscire a fargli riconoscere e attaccare le cellule malate.
Successivamente questi linfociti vengono fatti crescere di numero e reiniettati nel corpo del paziente.

Leggi qui la storia di Judy.

Un vaccino contro il cancro?
Benché al momento esistano forme tumorali, come il cancro alla cervice uterina, per i quali sono utilizzati vaccini, per il cancro in genere, è molto complicato studiare un vaccino valido.
I vaccini sensibilizzano il sistema immunitario contro un ospite sgradito, come un virus, riconoscendolo come estraneo.
Il problema con le cellule tumorali è che, come detto, sono molto simili a quelle sane e quindi è difficile identificarle come “diverse”. Inoltre, le cellule malate addormentano il sistema immunitario, rendendo difficile una sua risposta.

Al posto del vaccino, è possibile utilizzare anticorpi?
Sì, lo si sta già facendo per mitigare gli effetti collaterali della chemioterapia classica.
L’anticorpo rende la terapia più mirata, permettendo di riconoscere il bersaglio presente in misura maggiore sulla cellula non sana.

Quali tumori è possibile curare con gli anticorpi?
La terapia combinata di anticorpi monoclonali (con la massima omogeneità di bersaglio) e farmaci tossici è stata già adottata nella cura della leucemia mieloide acuta, delle ricadute del linfoma di Hodgkin e nel carcinoma della mammella positivo HER-2.  

Farmaci agnostici: cosa sono?

Quali i farmaci più promettenti?
Abbiamo accennato che le novità più importanti arrivano dalla genetica, perché la genetica permette di conoscere il tumore.
L’assunto secondo il quale più tumori hanno in comune le stesse mutazioni genetiche, ha aperto la strada ai farmaci “agnostici”, capaci di colpire tutti i tipi di tumore con la stessa mutazione.
Le terapie tumore-agnostiche attaccano le anomalie genomiche, indipendentemente dal sito di origine del tumore.
Dal 2017, anno in cui la FDA (Food and Drug Administration) approva il primo farmaco agnostico, la firma genomica del tumore guida la scelta del migliore trattamento, laddove fino a qualche anno fa i farmaci erano approvati in base all’organo di provenienza e alle caratteristiche istologiche.

Ricerca traslazionale: 7th congresso internazionale

7th International Meeting on new drugs and new insight in a breast cancer

Si terrà presso l’Auditorium dell’Università Cattolica del Sacro Cuore a Roma (22-23 aprile 2022) il 7° Incontro Internazionale sui nuovi farmaci e le nuove intuizioni sul cancro al seno.

Oncologi, ricercatori e clinici di fama mondiale presentano le novità sulla cura del cancro alla mammella.
L’attenzione è rivolta alla ricerca traslazionale e ai risultati degli studi clinici.


In particolare, la ricerca traslazionale in oncologia ha il merito di tradurre le scoperte scientifiche di laboratorio in applicazioni cliniche per migliorare la vita del paziente, riducendone la mortalità.


Semplificando, l’affermazione inglese: ”from bench to the bedside” – dal bancone del laboratorio al letto del paziente, riassume perfettamente l’approccio ponte tra scienza e medicina applicata.




HER2DX: il test genomico con valore predittivo e prognostico nel cancro al seno HER2+

HER2DX è il test genomico che permette di individuare la terapia migliore per le donne con tumore al seno iniziale con iper espressione della proteina HER2+.

Il test è frutto della collaborazione tra le Università di Padova e Barcellona e alcuni istituti oncologici spagnoli.

 I risultati sono stati pubblicati sulla rivista The Lancet eBioMedicine.

Il test è validato su più di 1000 pazienti e analizza l’RNA di 27 geni.

L’esame genomico permette attraverso un punteggio di stabilire la prognosi, cioè la possibilità di sopravvivenza prima ancora dell’intervento chirurgico e la risposta alle cure della patologia, con la totale scomparsa di qualunque cellula tumorale.
Tra i vantaggi, quindi, la possibilità di individuare con certezza il tipo di terapia, o troppo aggressiva e tossica o al contrario troppo blanda per le forme più aggressive di tumore, e di conseguenza un risparmio per il sistema sanitario, perché evitate, così, cure sbagliate.

In Italia, circa il 15% delle donne malate di tumore al seno è caratterizzato dalla presenza della proteina HER2.
Infatti, la crescita rapida e incontrollata delle cellule malate è dovuta alla stimolazione del recettore HER2.

Tra le forme di tumore alla mammella, questa è una delle più aggressive e in passato, mancando cure efficaci, spesso la prognosi era delle più negative.
Oggi grazie all’uso degli anticorpi monoclonali come il trastuzumab, di farmaci citotossici come il trastuzumab emtansine o di inibitori chinasici, la prognosi è molto migliorata.

HER2+: i parametri degli oncologi

Nello stabilire la diagnosi e la prognosi della malattia, gli oncologi fanno riferimento alle dimensioni del tumore, alla presenza di linfonodi ascellari e recettori ormonali. Parametri utili, ma non sufficienti a stabilire con certezza l’efficacia o meno della cura.

Infatti, alcune pazienti rischiamo di essere curate con trattamenti inadeguati, troppo leggeri o troppo aggressivi rispetto alla reale necessità.

L’HER2DX ha il merito di colmare questa lacuna clinica.
Il test analizza 27 geni, che regolano quattro vie metaboliche funzionali allo sviluppo del tumore:

  • L’espressione di HER2+
  • La stimolazione endocrina (ormoni)
  • La proliferazione cellulare
  • La via immunologica (reazione del sistema immunitario)

L’analisi di questi geni, oltre ai fattori tradizionali, è utile sia nel determinare la prognosi, cioè la sopravvivenza a quanti anni dopo l’intervento, sia il tipo di risposta patologica delle donne sottoposte a terapia medica o chemioterapia prima dell’operazione (terapia neoadiuvante).

La terapia neoadiuvante è il tipo di trattamento raccomandato alle donne con tumore HER2 positivo di almeno 2 cm o con dimensioni inferiori, ma con linfonodi ascellari evidenti.

«Negli ultimi 10 anni sono stati fatti grandi progressi nel trattamento dei tumori HER2+ ed oggi la maggioranza delle pazienti è guarita con trattamenti adiuvanti che comprendono chemioterapia e farmaci antiHER2. – sostiene Pierfranco Conte, coautore dello studio -. L’efficacia e la varietà delle terapie oggi disponibili, fa si però che vi è il rischio di un sovratrattamento per molte pazienti e di un sottotrattamento per altre. Il problema è che le decisioni terapeutiche critiche, come la quantità o il tipo di chemioterapia e la quantità o la durata del trattamento HER2, sinora non hanno tenuto conto dell’eterogeneità biologica della malattia»

La ricerca conferma quanto la cura debba essere personalizzata, data l’eterogeneità del cancro al seno HER2+ e la diversa risposta della donna ai trattamenti e alla possibilità di recidive.

Diagnosi e trattamento della paziente affetta da tumore mammario

Il meeting online in programma il prossimo 18 marzo ha lo scopo di mettere a confronto l’esperienza di diversi professionisti della cura del cancro al seno avanzato/metastatico ormonosensibile (HR+ e HER2-).

Inoltre, il momento è l’occasione per riflettere sull’impatto dell’approccio multidisciplinare e l’utilizzo di nuovi farmaci nel trattamento delle forme più aggressive di cancro al seno.

Diritto all’oblio oncologico: perché una legge?

AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) lancia la raccolta firme per una legge sul diritto all’oblio.
Circa 1 milione di persone guarite dal cancro oggi subisce discriminazioni e richiede a gran voce il diritto all’oblio oncologico.
Ottenere un mutuo o un prestito, adottare un bambino o trovare lavoro sono alcuni dei diritti spesso negati a chi è guarito dal cancro.

Diritto all’oblio in Europa:

La Francia è stata il primo paese europeo a legiferare sul diritto all’oblio: coloro che hanno sofferto di cancro trascorsi 10 anni dalla fine delle cure e 5 anni per chi ha avuto il cancro prima della maggiore età non sono obbligati a dichiarare la malattia pregressa al momento di richiedere un servizio finanziario.
Una posizione analoga ad altri paesi come il Belgio, il Lussemburgo, l’Olanda e il Portogallo.

Ora tocca all’Italia.

Il Presidente della FAVO, Francesco De Lorenzo, afferma che nei prossimi mesi, in collaborazione con Alleanza contro il cancro, AIOM e tutti gli IRCCS oncologici, verrà presentata una position paper riassuntiva delle motivazioni a favore del diritto all’oblio, per eliminare definitivamente lo stigma di cancro uguale morte.

Gli oncologi chiedono una ricategorizzazione del malato di cancro, perché oggi sotto l’egida di “sopravvissuto” sono inclusi pazienti che convivono con neoplasie cronicizzate, malati con tumore dalla progressione lenta e quelli che possono essere dichiarati effettivamente guariti o comunque con remissione clinica per un lungo periodo di tempo.

Cancro e aspettativa di vita

Secondo Armando Santoro, uno dei curatori del libro Guariti e cronici. Manuale di oncologia clinica, la classificazione deve tenere in considerazione il tipo di neoplasia, perché il tempo necessario a raggiungere la stessa aspettativa di vita della popolazione sana molto dipende dal tipo di cancro.

Infatti, il rischio che la malattia si ripresenti è inferiore a 5 anni per il cancro alla tiroide, 10 per quello al colon; mentre, nel caso di tumori più frequenti come quello al seno o alla prostata, l’arco di tempo è più ampio, circa 20 anni.

La realtà è complicata dal fatto che se i pazienti, trascorso un certo periodo di tempo, chiedono agli oncologi di essere dichiarati guariti, da parte dei clinici c’è una certa ritrosia, per evitare di infondere false speranze, prediligono l’uso di espressioni come “nessuna evidenza di malattia” o “remissione”.

La legge su diritto all’oblio voluta da AIOM

Oggi l’accesso a molti servizi sembra essere negato alle persone guarite o “sopravvissute” al cancro.
Ecco perché AIOM lancia la campagnaIo non sono il mio tumore” e promuove la raccolta firme per attirare l’attenzione sul tema del diritto all’oblio e arrivare a un vero e proprio provvedimento legislativo.

La legge permetterebbe di non essere più etichettati come malati di cancro trascorsi 5 anni dal temine delle cure per chi lo ha avuto in età pediatrica e 10 per tutti gli altri pazienti.
Di cancro si guarisce o comunque i programmi di screening e il costante miglioramento delle cure hanno fatto sì che molti tumori siano curabili e altri cronicizzati.

A favore dell’iniziativa, AIOM realizza la prima guida sul diritto all’oblio oncologico, un sito web e una campagna social per raggiungere l’obiettivo di raccogliere almeno 100mila firme.

Ecco il link al portale www.dirittoallobliotumori.org. per aderire all’iniziativa.

Sono già pervenute circa 13mila firme di malati, caregiver, persone sensibili all’argomento che chiedono una legge come già avvenuto in altri paesi europei che legalizzi il diritto all’oblio, cioè il diritto ad aprire un’attività, comprare una casa, adottare un bambino, senza che l’essere stati malati sia la lettera scarlatta tatuata a vita.

In conclusione se molto è stato fatto a livello di cure oncologiche, ancora tanto deve essere fatto sia a tutela del lavoro dei malati oncologici sia in fatto di diritti e accessi negati.

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